Chiesa Madre S. Caterina V. M.

Facciata

Lo spazio della facciata della Chiesa di Santa Caterina, sede dell'omonima parrocchia guidata da Don Francesco Luigi Verzaro, è scandito da una serie di elementi decorativi che le conferiscono una sobria eleganza. Lesene e cornici, le prime in senso verticale, le seconde in senso orizzontale, riquadrano l’ intera superficie della facciata. L’edificio, a tre navate, anche nel prospetto ripropone in maniera evidente la sua struttura interna. Il corpo centrale rappresenta il doppio dell’ altezza dei due corpi laterali. Il senso di slancio in altezza è ottenuto mediante l’impiego delle lesene che, a differenza della chiesa vicina (Madonna della Neve) poggiano su uno zoccolo di pietra abbastanza basso il che accentua ancora di più il senso dello slancio verso l’alto. Le lunette cieche sulle due porte di ingresso alle navate laterali e il timpano sul portale di ingresso assolvono tutti alla medesima funzione. Il raccordo tra navate laterali e corpo centrale è stato realizzato con due volute coperte anch'esse da una serie di lesene di ridotte dimensioni. Il raccordo al suolo è realizzato mediante una soglia di pietra calcarea che si eleva di 13 cm rispetto al piano di calpestio del sagrato di ridottissime dimensioni.
Il portale è sormontato da un timpano triangolare che ne esalta il senso di slancio ascensionale, sottolineato dalle due lesene che lo affiancano. Zoccolo, stipiti ed architrave, sono precorsi da leggere scanalature parallele che, a mo di cornice, esaltano la forme rigorosamente geometrica di tutto il manufatto.

Martirio di Santa Caterina (tela)

Martirio di Santa Caterina

L’autore dell’opera, attingendo alla tradizione più diffusa, secondo la quale la giovane martire sarebbe sopravvissuta al supplizio della ruota, rappresenta la Santa in ginocchio dinanzi allo strumento di tortura, andato in frantumi. La narrazione dell’evento si sviluppa nei due sensi: verticale e orizzontale. Il primo presenta in asse l’angelo e la Santa in ginocchio, il secondo il folto gruppo dei presenti che si accalcano nel luogo del martirio.
Dall’alto piomba, tra le nubi squarciate, un angelo che impugna con la destra la spada che spaventa e mette in fuga i carnefici e con la sinistra la palma quale riconoscimento e sublimazione del martirio. La narrazione in senso orizzontale coglie come un’istantanea un folto gruppo di soldati, tra i quali il re responsabile della condanna della giovane, in fuga o caduti a terra. La luce, che illumina il tutto, proviene dall’alto a sinistra e indugia sul candore delle nuvole che fanno da aureola all’angelo che irrompe dall’alto. Domina sul tutto un profondo contrasto tra la ieratica immobilità della Santa, raccolta in preghiera, e il dinamismo della confusa scena circostante nella quale spiccano elementi tipici della tradizione michelangiolesca il cui esempio tipico è rappresentato dal braccio sollevato del giovane soldato in atto di difendersi dalla luce abbagliante che proviene dalla creatura celeste.
L’ombra che si stampa sugli occhi arricchisce e completa il senso plastico dell’intera rappresentazione, mentre un senso di raffinato pudore si coglie nella raffigurazione della Santa, il cui corpo è interamente coperto da uno spesso panneggio che lascia scoperte solo le mani giunte e il volto.

La tomba del Cardinale Giuseppe Caprio

Tomba Card. Giuseppe Caprio

Nella navata sinistra dell’edificio sacro, a metà strada tra la porta di ingresso e l’altare dedicato alla Madonna di Pompei di cui era particolarmente devoto, riposa – come recita l’epigrafe in latino – il card Giuseppe Caprio, coperto dalla terra che lo ha visto nascere, in attesa del giorno della resurrezione.
Figlio illustre di questa terra, il card Caprio era nato a Lapio il 15 novembre 1914, da una famiglia che aveva già dato alla Santa Sede un benemerito figlio: l'omonimo zio Giuseppe Caprio che fu per tanti anni Pro-segretario dell'Economia della Sacra Congregazione allora detta di Propaganda Fide.

Tratto da Gocce d'arte e di storia di Claudia Areniello
pubblicato da Fondazione Ottavio Clemente