Abbiamo notizia, dagli atti conservati dalla famiglia Clemente, il cui antenato Antonio Clemente fu priore della congrega della Madonna della Neve che autori del portale furono i fratelli Giuseppe e Vincenzo De Angelis, i quali operarono a Lapio dal 1901 fino alla data di ultimazione dei lavori, il 1903, e apprendiamo inoltre che furono impiegati 3460 mattoni rossi, provenienti da Benevento, che lo scalpellino, esecutore della scala del campanile, fu un tale Arcangelo Izzo e l’ingegnere progettista dell’intera opera muraria fu Romano Panno .Il portale è affiancato da due colonne di ordine ionico, poggianti su uno zoccolo abbastanza alto, cosa che conferisce al tutto un notevole slancio nel senso dell’ altezza.Nella nicchia circolare, in alto, l’immagine della Vergine coronata col Bambino. Lo stato di conservazione è mediocre, essendo l’opera scultorea esposta alle intemperie e tale da non poter essere oggetto di particolari cure, trovandosi in posizione pressoché inaccessibile sulla facciata, se non mediante l’impiego di costose quanto ingombranti impalcature.
La facciata della Madonna della Neve deve la sua bellezza al sapiente gioco di colori e di masse plastiche realizzato attraverso l’impiego dei mattoni e del marmo. La pietra nostrana, il brecciato dei Monti Picentini con i suoi toni grigi, fa da base al tutto da cui si dirama una sapiente alternanza fatta di mattoni e marmo lavorato. La particolare cura dedicata al portale, impreziosito da un portone in legno di castagno lavorato ad intaglio dall’ ebanista Matteo Anzalone, testimonia tra l’ altro le disponibilità economiche della congrega. La chiesa, sorta- secondo alcuni - come cappella gentilizia del casato dei Filangieri, signori dell’ attiguo palazzo baronale, conserva ancora i paramenti sacri lavorati con oro zecchino, dono della famiglia baronale. Le stesse Tavolate dei Misteri del Venerdì Santo, nonchè l’ arredo dell’ edificio di culto, sono testimonianza di una solida economia. La scritta riportata sul cartiglio che domina tra fiori e foglie il portale d’ ingresso, recita cosa che in modo lapidario ricorda l’ intera storia dell’ edificio: costruito nel 1598 e interamente rifatto nel 1903. Due colonne di stile Ionico, addossate alla parete, fanno da cornice, insieme al timpano, al portale d’ ingresso. Sull'architrave di quest’ ultimo fa bella mostra lo stemma della confraternita, sormontato dalla corona della Vergine.Abbiamo notizia, dagli atti conservati dalla famiglia Clemente, il cui antenato Antonio Clemente fu priore della congrega della Madonna della Neve, che autori del portale furono i fratelli Giuseppe e Vincenzo De Angelis, i quali operarono a Lapio dal 1901 fino alla data di ultimazione dei lavori, il 1903, e apprendiamo inoltre che furono impiegati 3460 mattoni rossi, provenienti da Benevento, che lo scalpellino, esecutore della scala del campanile, fu un tale Arcangelo Izzo e l’ingegnere progettista dell’intera opera muraria fu Romano Panno.
All’interno dell’edificio di culto, si registra una massiccia presenza di dipinti eseguiti, alla metà del ‘700, da Francesco Capobianco, sono suoi infatti i quattro tondi alle pareti e la grande tela del soffitto.La scena rappresentata, iconograficamente, è divisibile in tre parti: i due personaggi a colloquio in basso a sinistra, la Vergine con Bambino e Angeli in alto, lo spazio aperto al centro a destra. Il colloquio tra i due (pontefice e patrizio Giovanni) avviene all’interno di uno spazio parallelepipedo, delimitato da panneggi e colonne, un ambiente che per una serie di motivi è definibile come spazio scenico. Uno di questi è costituito dall’abbondante drappeggio del lato sinistro che richiama il sipario che si apre sulla scena centrale, un drappeggio che continua fino al suolo mediante il mantello del pontefice. E’ questa l’area dell’umano, del terreno su cui irrompe il divino, come lacerando dall’alto lo spazio scenico all’interno del quale si svolge la vicenda in basso. A fare da collegamento tra le due aree di rappresentazione, il braccio teso di un angelo in volo verso il basso e lo sguardo di un altro suo simile che si affaccia tra le pieghe del mantello della Vergine. La Vergine stessa e il Bambino sono protesi verso il basso, seguendo l’indicazione dell’angelo in volo che addita la località su cui sorgerà la basilica alla Vergine. Lo spazio aperto della scena centrale destra rompe la rigida geometria del tutto e si dilata all’infinito tra orizzonte e monti lontani. Ci troviamo così difronte ad una rappresentazione che trascorre dagli interni ben circoscritti verso uno spazio aperto che sa di natura e di paesaggio, illuminati da una luce naturale che contrasta nettamente con la luce degli interni in primo piano. E’ come una fuga verso l’aria aperta, verso spazi senza confini in quanto anche l’apparizione della Vergine è come circoscritta all’interno di un’emisfera di nubi che la delimitano geometricamente.Un sapiente gioco di luci fa il resto al quale si affianca la scelta dei colori: densi pastosi, tendenti allo scuro quelli degli interni, chiari quelli che rappresentano l’orizzonte lontano.Un’altalena quasi tra pittura di atelier e rappresentazione en plein air. Un felice connubio tra memoria caravaggesca e aperture paesaggistiche del ‘700.
Tratto da Gocce d'arte e di storia di Claudia Areniello
pubblicato da Fondazione Ottavio Clemente
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